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L’unione fa la forza: ecco come i Tech Center di HP stanno creando un mercato da milioni di euro

Ne parliamo in esclusiva con Davide Ferrulli e Gino Rincicotti di HP 3D Printing Italia

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Fin da quando, alcuni anni fa, le tecnologie di stampa 3D sono uscite dall’ombra e hanno iniziato a rivolgersi al mercato globale, gli operatori si sono chiesti quanto sarebbe potuto diventare vasto il mercato di produzione additiva e soprattutto quando questo sarebbe successo. Una cosa è certa, allargare il mercato sarebbe impossibile senza tecnologie ad alta produttività come la multijet fusion di HP, introdotta nell’ormai lontano 2017.

Ora la sfida è esplorare tutte le reali applicazioni commerciali che questo tipo di produttività è in grado di soddisfare e per farlo non c’è altro modo che unire le forze: ecco perché è nato il progetto HP Tech Center ed ecco perché quest’anno è arrivato il momento di fare sul serio. Ne abbiamo parlato in esclusiva con Davide Ferrulli, Country Manager 3D Printing, e Gino Rincicotti, Marketing Manager, per capire come si evolverà il progetto HP Tech Center e in che modo la tecnologia di HP potrà essere sfruttata per allargare ulteriormente un mercato che vale già diversi milioni di euro solo in Italia.

Gino Rincicotti, Marketing Manager, HP

“L’idea alla base dei Tech Center è molto semplice: facilitare la selezione del partner ideale da parte dei clienti finali, cioè le aziende che hanno bisogno di commissionare i lavori o “job” di stampa,” —esordisce Rincicotti.

“Questo avviene tramite un sito internet dedicato, dove individuiamo i service dotati di tecnologia Multi Jet Fusion che eccellono in determinate capacità o aree. Mettiamo a disposizione del pubblico nomi e riferimenti delle eccellenze in ogni settore: sei un’azienda meccanica? Ti suggeriamo il service di riferimento del tuo settore. Produci oggetti di design? Visita il sito e trova chi ha particolari competenze nel tuo campo. Fra l’altro, alcuni dei service aderenti hanno competenze trasversali- come la progettazione CAD 3D, la post-produzione o le lavorazioni ibride – quindi direi che ce n’è per tutti i gusti.

La formula MJF Tech Center sta già riscontrando un enorme successo e ci permette, infatti, di dare la visibilità che meritano ai moltissimi service che adottano la nostra tecnologia, in un rapporto paritetico in cui tutti gli attori hanno chiari benefici e si sostengono a vicenda. Da parte nostra c’è ovviamente un interesse a promuovere la tecnologia e a far conoscere l’eccellenza nell’uso di HP multijet fusion in applicazioni che sono già estremamente diversificate e trasversali su svariati settori. Ma, soprattutto, offriamo un vero servizio agli utilizzatori della nostra tecnologia che possono rivolgersi con fiducia a partner selezionati da HP.”

Partiti in Italia, gli MJF Tech Center verranno presto replicati anche in altri mercati Europei, tra cui Germania e Spagna. Al momento abbiamo 12 service aderenti ed il numero è ben oltre le aspettative, grazie alla estrema flessibilità della formula, per cui ognuno è libero di lavorare a 360° gradi, a prescindere dalle indicazioni e dagli indirizzi di HP.”

Idee senza limiti

Grazie alla capacità produttiva dei sistemi di HP – di cui parleremo dettagliatamente più avanti in questo articolo – le possibili applicazioni sono in costante crescita, così come il numero di pezzi stampati, che ha già abbondantemente superato il milione solo in Italia. Si va da segmenti tradizionali della stampa 3D – quindi meccanica, medicale, automotive – a settori nuovi come la moda e il design: lampade e accessori, come ad esempio, sempre più spesso, la produzione di montature per occhiali.

Davide Ferrulli, Country Manager, HP 3D Printing

“Dal 2019 al 2020 abbiamo triplicato il numero di pezzi prodotti,” rivela Davide Ferrulli. “Non vuol dire che abbiamo triplicato la vendita di macchine ma che queste ora vengono usate molto di più e crediamo di aver solo scalfito la superficie. Non tutti ancora si rendono conto che oggi la stampa 3D di HP può facilmente essere competitiva con la produzione tradizionale su lotti da 20.000 e anche 50.000 unità. Molti ancora pensano a produrre uno stampo anche per lotti da 2.000 pezzi – sui quali la stampa 3D sarebbe molto più conveniente sia in termini di costi che di tempi – semplicemente perché sono abituati così. Inoltre, in tanti ancora non si rendono conto che per certi pezzi prodotti in metallo, la plastica può essere un’alternativa valida e facilmente percorribile.”

Un altro elemento da tenere in considerazione è che ogni materiale nuovo che diventa disponibile per la tecnologia di HP apre nuove possibilità. Il nylon 12 e nylon 11, anche caricato a vetro, possono essere una soluzione per moltissime applicazioni (molte delle quali ancora inesplorate) ma l’introduzione di vari elastomeri e ora anche del polipropilene (una delle plastiche più ambite in assoluto per qualità meccaniche e di resistenza chimica, unite a un costo costi più basso del materiale stesso) ne sta aprendo ancora di più. Inoltre, il polipropilene non utilizzato durante la stampa può essere riciclato al 100%, il che riduce ulteriormente i costi.

“Stiamo lavorando molto sulla parte medicale, come le ortesi, che è un mercato che sta crescendo parecchio, con vari ospedali che stanno già pensando a introdurre questo tipo di applicazione, cosa che magari fino a poco tempo fa non era assolutamente percorribile,” prosegue Ferrulli. “Stiamo lavorando anche sul settore dei plantari: FitStation è uno dei prodotti di HP e c’è già una catena importante chiamata Superfeet che ha iniziato a offrire plantari customizzati negli USA e in Nord Europa. Presto arriverà anche da noi.”

Le possibilità sembrano davvero illimitate e, anche grazie a un’offerta di sistemi produttivi sempre più performante, sembra davvero arrivato il momento per ampliare esponenzialmente il mercato ed è esattamente quello che faranno gli HP Tech Center. Per entrare nel network è necessario avere in casa la tecnologia multijet fusion e possedere delle competenze e delle capacità in un particolare settore. Per esempio, c’è chi ha esperienza come job shop meccanici, quindi con macchine CNC, e quindi abbinano la produzione ibrida fra controllo numerico e stampa 3D. Altri hanno sviluppato conoscenze di postproduzione, altri sono specializzati sulla progettazione. “La vastità delle conoscenze dei nostri service è stata una scoperta anche per noi,” rivela Rincicotti, “ed è proprio questo che volevamo ottenere.”

Per un service, che in molti casi è un’azienda medio-piccola, entrare nel network permette di associare il proprio marchio ad HP e quindi ottenere una copertura mediatica e raggiungere un largo pubblico con una credibilità maggiore. In questo momento così particolare anche la comunicazione del programma Multi Jet Fusion si sviluppa al 100% in digitale attraverso il sito web dedicato. “Oltre al supporto in termini di comunicazione,” precisa Rincicotti, “mettiamo a disposizione degli operatori dei service bureau e dei loro clienti vari corsi di formazione tecnici e di aggiornamento per aiutarli ad evolvere le loro particolari abilità e la loro capacità. Abbiamo in mente anche degli sviluppi del programma per così dire “fisici”, ma ne riparleremo quando la pandemia sarà superata e potremo tutti tornare ad una vita più serena e normale.”

Tutto questo è possibile oggi anche grazie alla produttività dell’hardware HP: non solo le stampanti ma tutto ciò che permette di creare un vero e proprio flusso produttivo, automatizzato e digitale, per la produzione seriale. Ferrulli rivela che le ultime due richieste arrivate sono state rispettivamente di 32.000 e 16.000 pezzi e che questo è lo standard attuale. Mentre produrre uno stampo richiede almeno un mese, una stampante HP top di gamma può svolgere un lavoro di questo tipo anche in meno di due settimane a seconda delle dimensioni del pezzo. Se poi l’obiettivo è di produrre milioni di pezzi, la stampa 3D può essere una soluzione ponte per entrare in produzione immediatamente mentre si attende lo stampo tradizionale.

“Uno dei vantaggi della stampa 3D,” spiega Ferrulli, “non è solo poter personalizzare un prodotto nella fase di design iniziale ma poterlo migliorare continuamente. Man mano che arrivano feedback dal mercato posso modificarlo e produrlo immediatamente con la nuova geometria.”

Un mercato da milioni

Nell’ultimo anno, il numero di pezzi fatti dai clienti italiani soltanto è stato abbondantemente sopra il milione di unità con un picco a settembre di oltre 160 mila pezzi prodotti. E anche questo numero potrebbe essere riduttivo visto che, in alcuni casi, un intero job di stampa, magari di alcune decine o centinaia di pezzi, viene gestito come un singolo file. Il motivo per cui questo tipo di produzione è possibile oggi è la velocità di stampa. “Se non riuscissimo a produrre a questa velocità, il costo orario della macchina verrebbe applicato a un numero molto minore di pezzi e quindi risulterebbe antieconomico,” spiega Ferrulli.

L’offerta di HP che rende possibile questa produttività è incentrata sulle stampanti ma queste sono solo una parte di un flusso produttivo completo. Si parte dai sistemi della serie 4200, che sono stati i primi ad arrivare sul mercato e hanno introdotto un fattore di velocità più elevato rispetto a quello che era presente sul mercato al momento dell’uscita. Oggi questa macchina è affiancata dalla serie 5200, che è stata ottimizzata per la produzione e quindi più veloce del 30%-35% e permette di gestire 2 job nell’arco di 24 ore, quindi raddoppiando la produttività.

Nell’ultimo anno—conferma Ferrulli—la macchina che è andata per la maggiore è stata la 5210, che offre un costo per job veramente basso. E quindi permette di spingere ulteriormente verso la produzione. “A questi due sistemi è stata affiancata anche una macchina un po’ più piccola, la serie 500, che può essere dedicata alla prototipazione tradizionale o alla produzione su piccola scala. Per ottimizzare la produttività delle sue macchine HP ha introdotto anche una serie di prodotti complementari. La Processing Station, disponibile già con la serie 4200, permette di automatizzare il caricamento e lo scaricamento della polvere. Recentemente è stata introdotto anche la nuova Unpacking Station”.

Le stampanti 5200 permettono quindi di estrarre un job di stampa all’interno di in una sorta di “natural cooling unit”, una sorta di scatola sofisticata che viene caricata nell’Unpacking Station e questa, nel giro di 10-15 minuti restituisce i pezzi già puliti, completamente in automatico.”

Un altro elemento fondamentale, in qualsiasi processo di produzione digitale, è il software. “Recentemente una serie di software, tra cui un software di preparazione del job, Universal Build Manager che, a parte velocità e altre le altre caratteristiche tecniche, introduce un aspetto interessantissimo” Ferrulli spiega: “Immagina di avere un sito in cui vendi un prodotto customizzabile, in cui il cliente può andare sul sito e apportare delle piccole modifiche o scegliere una serie di prodotti prima di immettere l’ordine. Il software permette di applicare queste modifiche direttamente al job già preparato tramite uno script in Python. Quindi il service deve tarare il job una volta sola: lo script raccoglie dal sito le richieste dei clienti e alimenta direttamente il software che pilota la macchina, senza alcun intervento umano.”

Anche grazie al progetto HP Tech Center sono ora state poste solide basi su cui far crescere il mercato della produzione additiva digitale in Italia. “Quello che abbiamo fatto è aprire un mercato nuovo per i service,” ammette Ferrulli. “Prima con la stampa 3D si potevano produrre 100 pezzi ma non 10,000. Oggi sì può e la sfida è quella di farlo sapere a più aziende possibile.” Anche se non basta certo comprare una macchina per iniziare a generare guadagni, ma occorre prima sviluppare delle conoscenze specifiche, un elemento importante da considerare è che il mercato potenziale della produzione è talmente vasto che non esiste oggi una vera e propria concorrenza. Ragione in più per cui l’unione (dei Tech Center) fa la forza.

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Davide Sher

Sono un giornalista professionista iscritto all'ODG dal 2002 e mi sono sempre occupato di comunicazione trade. Per 10 anni ho redatto una testata dedicata al mercato dei videogiochi e successivamente ho partecipato alla creazione del primo iPad magazine dedicato all'elettronica di consumo. Dal 2012, mi occupo esclusivamente di stampa 3D/manifattura additiva, che vedo come la più affascinante e reale delle tecnologie oggi agli albori ma che plasmeranno il nostro futuro. Ho fondato Replicatore.it nel 2013 e ho scritto come blogger per diversi siti internazionali. Nel 2016 ho fondato la mia società 3dpbm (www.3dpbm.com), con base a Londra, che offre servizi di supporto alle aziende che vogliono comunicare, sia in Italia che nel mondo, i loro prodotti legati alla manifattura additiva. Oggi pubblichiamo diverse testate internazionali tra cui 3D Printing Media Network (il nostro sito editoriale internazionale), 3D Printing Business Directory (la più grande directory al mondo di aziende legate alla stampa 3D), Replicatore.it, Replicador.es e 3D Printing Media Network Chinese Version.

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