Biostampanti e bioinchiostri per la medicina del futuro

Una bambina inglese di 2 anni aveva bisogno di una protesi per la mano sinistra che non si era formata nell’utero materno. A quell’età il costo di una protesi su misura è proibitivo, anche perché dopo pochi mesi diventa inutilizzabile. Allora i genitori si sono rivolti alla società Zero Point Frontier che, usando una stampante 3D della società Makerbot, ne ha stampata una per meno di 5 dollari. Il suo caso non è unico: Makerbot, la società newyorkese che oggi è il principale produttore di stampanti 3D personali, ha donato due dei suoi modelli (Replicator 2 a Robohand Project) a un’associazione che si specializza proprio nella produzione di protesi su misura a costi ridottissimi, grazie alla precisione che solo gli ultimi progressi dell’elettronica e della robotica hanno permesso di raggiungere.
CHIRURGIA IMPOSSIBILE – Sofamor Danek, una multinazionale leader nella produzione di strumenti chirurgici, usa una stampante 3D Fortus di Stratasys per creare – in giornata – strumenti su misura per i chirurghi che devono effettuare operazioni particolarmente complesse. Ancora maggiori sono le opportunità nella preparazione delle operazioni, un settore in cui opera la società inglese Cavendish Imaging. Parte di un gruppo che fa della stampa 3D il suo strumento principale per spaziare dalle protesi ossee e ortodontiche alle creazioni artistiche, Cavendish produce modelli perfetti in base alle scansioni tridimensionali ottenute da risonanze e tomografie. Quando un chirurgo deve effettuare un’operazione particolarmente complessa, ad esempio ricostruire la faccia di un uomo devastato da un tumore, parti di una mandibola e poi collegare i denti o un bacino frammentato, può studiare ogni dettaglio delle parti da inserire sulla copia stampata in 3D: così, invece di procedere per tentativi con il paziente sul tavolo operatorio, l’operazione viene pianificata nei minimi dettagli e si svolge in pochi attimi.
MODELLI VIVENTI – Questi sistemi sono già stati applicati a tantissimi livelli ma uno dei più sensazionali è stato il caso di due gemelline indiane, Rital e Ritag, collegate attraverso la parte superiore del cranio. Poter studiare e simulare l’operazione su un modello che riproduceva pareti ossee, vasi, vene e arterie è stato fondamentale per ridurre i tempi in sala operatoria ed effettuare l’operazione con successo. Per creare questi modelli, Cavendish sfrutta un tipo di stampa 3D chiamato laser sinteringe stampanti industriali avanzatissime ma esistono già anche metodi meno costosi per ottenere risultati simili. La società irlandese Mcor Technologies stampa i modelli tridimensionali usando normali fogli di carta. Strato su strato i fogli vengono posizionati e intagliati fino a creare un modello tridimensionale perfetto, biocompatibile, sterilizzabile e quindi utilizzabile anche in ambienti asettici come gli ospedali.
L’ULTIMA FRONTIERA – Stampare modelli ossei e protesi è il primo passo. La vera grande sfida per la stampa 3D è quelle di creare tessuti morbidi e vascolari, adatti per riprodurre organi come la pelle, il fegato o il pancreas. La richiesta sempre maggiore e la disponibilità sempre minore di organi da trapiantare ha spinto diversi istituti universitari a sperimentare con bioinchiostri da utilizzare in apposite biostampanti. I processi sono simili a quelli della stampa 3D tradizionale solo che questi fluidi, a base di materiali biologici, non possono essere scaldati e raffreddati come si fa con le plastiche. Il processo usato quindi è più simile alla stampa 2D, quella delle classiche stampanti inkjet, solo che richiede una precisione infinitamente più elevata. Per stampare con cellule viventi, Alan Faulkner-Jones della Heroit Watt University di Edimburgo ha creato una personal bioprinter, controllata da una scheda Arduino Uno, in grado di distribuire i liquidi misurandoli in nanolitri (cioè miliardesimi di litro).
ORGANI ARTIFICIALI TRA 5 ANNI – Gli scienziati del Fraunhofer Institute of Interfacial Engineering and Biotechnology (Igb) di Stoccarda hanno ottenuto un risultato simile sviluppando uno speciale idrogel a base di cellule viventi che si solidifica quando viene irradiato da raggi ultravioletti. Questa gelatina può essere usata per stampare i tessuti con una precisione tale da creare anche tutti i vasi capillari che permetto il flusso sanguigno e quindi il sostentamento dell’organo. Si tratta di un passo avanti notevole che non sarà certo sfuggito a Organovo, una società americana quotata in Borsa che produce biostampanti. Il mese scorso i ricercatori di Organovo sono riusciti a riprodurre un tessuto epatico che per un mese ha funzionato come un fegato vero, reagendo ai farmaci somministrati. Non è più tanto questione di «se» avremo organi artificiali funzionanti ma, grazie alla stampa 3D, sembra essere solo questione di «quando». Secondo Faulkner-Jones, ideatore della biostampante personale, «cinque anni al massimo».
Il mio articolo è stato pubblicato originariamente su Corriere.it