I ricercatori di Harvard creano Octobot, il primo soft robot senza elettronica, con un nuovo processo di stampa 3D

Alimentato da una reazione chimica controllata da un processo microfluidico, l’ octobot stampato in 3D è un soft robot senza elettronica. Un gruppo dell’Università di Harvard composto da ricercatori con conoscenze sulla stampa 3D, ingegneri meccanici, e esperti di microfluidica ha prodotto il primo robot completamente soft autonomo senza legami. Questo piccolo robot – chiamato octobot- stampato in 3D potrebbe aprire la strada a una nuova generazione di macchine autonome completamente soft.
La soft robotica potrebbe rivoluzionare il modo in cui gli umani interagiscono con le macchine. I ricercatori hanno dovuto lottare a lungo per riuscire a costruire robot di questo tipo. L’alimentazione elettrica e i sistemi di controllo — come batterie e circuiti — sono rigidi e fino a oggi i robot soft sono sempre stati legati a un sistema di controllo oppure costruiti con elementi rigidi.
Gli autori dello studio comprendono anche Robert Wood, Charles River Professor of Engineering and Applied Sciences, e Jennifer A. Lewis, Hansjorg Wyss Professor of Biologically Inspired Engineering presso l’ Harvard John A. Paulson School of Engineering and Applied Sciences (SEAS) che hanno guidato la ricerca. Lewis e Wood sono anche membri del consiglio di facoltà del Wyss Institute for Biologically Inspired Engineering della università di Harvard. Il professor Lewis è anche una dei ricercatori principali nel campo della biostampa e della stampa 3D con estrusione pneumatica (è una fondatrice di Voxel8).
Stampa EMB3D di un octobot. a, una forma di stampa EMB3D è lavorata dall’ acetale. b, Gli strati iperelastici necessari per l’attivazione sono posti nelle parti attivatrici dello stampo. c, Un controller soft protetto con una maschera di adesivi poliamidi è caricata sullo stampo della stampa EMB3D. d, Il materiale per la matrice del serbatoio di carburante è caricato con attenzione nella zona dello stampo riservata al serbatoio di carburante e degassato sotto vuoto. e, il materiale liquefatto per la spina è caricato manualmente nel controller soft attraverso le aperture e brevemente degassato. f, il nastro protettivo viene rimosso dopo che il materiale della spina si solidifica, e la spina è foto cross-linked. g, la matrice del materiale del corpo è posto nello stampo e degassato. h, il materiale della matrice in eccesso viene rimosso, comincia la stampa EMB3D, e l’intero stampo con i materiali stampati EMB3D sono posti in un forno a 90 °C per il cross- link. i, dopo due ore, l’octobot è rimosso dallo stampo e tenuto a 90 °C per un totale di 4 giorni per assicurare la completa auto evacuazione degli inchiostri acquei. j, Prima dell’operazione, i materiali in eccesso sono rimossi con un taglio laser. k, L’octobot finale , mostrato qui con un ingrandimento, è pronto per operare.
Il processo di stampa 3D implementato è un approccio originale che i ricercatori hanno chiamato EMB3D printing. Non è un singolo processo additivo, piuttosto usa uno stampo in cui è versato il guscio molle dell’octobot. Un braccio robotico a estrusione pneumatica poi procede a stampare in 3D i componenti multi-materiale e inietta l’inchiostro nei materiali posti nello stampo.
LA capacità di adattare e aggiustare al volo le geometrie con la stampa EMB3D ha permesso ai ricercatori di passare attraverso 30 modelli e quasi 300 octobot per arrivare a un’appropriata architettura a livello di sistema.
Acqua (con colorante rosso o blu) è introdotta nel serbatoio attraverso le bocche di carburante. La continuità tra i serbatoi di carburante, il soft controller e gli elementi stampati EMB3D è possibile grazie alle spine, che si auto evacuano insieme agli inchiostri stampati EMB3D. Scala 5 mm.
“Una visione di lunga data nel campo della soft robotica è stato quello di creare robot completamente soft, ma il problema è sempre stato nella difficoltà di sostituire componenti rigidi come batterie e controlli elettronici con analoghi sistemi soft e metterli tutti assieme”, ha detto. “Questa ricerca dimostra che possiamo produrre con facilità i componenti chiave di un robot soft semplice, e questo pone le basi per prodotti più complessi”.
“Attraverso il nostro modo di assemblaggio ibrido, siamo stati in grado di stampare in 3D tutti i componenti funzionali richiesti all’ interno del corpo del robot, compreso il deposito di combustibile, l’energia e l’avviamento, in un modo rapido”, ha detto Lewis. “L’octobot è una realizzazione semplice progettata per dimostrare la nostra strategia di fabbricazione additiva e design integrato per l’incorporamento di funzionalità autonome”.
I polipi sono sempre stati una fonte d’ispirazione nella soft robotica. Queste curiose creature possono compiere azioni incredibili in fatto di forza e destrezza pur non avendo alcun scheletro interno.
L’Octobot di Harvard è di tipo pneumatico — alimentato da un gas sotto pressione. Una reazione all’interno del bot trasforma una piccola quantità di combustibile liquido (perossido di idrogeno) in una grande massa di gas, che scorre nelle braccia dell’octobot e li gonfia come un palloncino.
“Le fonti di carburante per i robot soft si sono sempre basate su qualche tipo di componente rigido”, ha detto Michael Wehner, un borsista post dottorato presso il Wood lab e primo coautore del documento. “La cosa meravigliosa del perossido d’idrogeno è che una semplice reazione tra la chimica e un catalizzatore — in questo caso il platino — ci permette di sostituire fonti di energia rigide”.
Per controllare la reazione, il team ha usato un circuito logico microfluidico basato sul lavoro pioneristico del co-autore e chimico George Whitesides, professore presso la Woodford L. and Ann A. Flowers University e membro di facoltà del Wyss. Il circuito, un analogo soft di un semplice oscillatore elettronico, controlla quando il perossido di idrogeno si decompone in gas nell’octobot.
“L’intero sistema è semplice da produrre, attraverso la combinazione di tre metodi di fabbricazione — litografia soft, fusione e stampa 3D — possiamo produrre velocemente questi dispositivi”, ha detto Ryan Truby, un laureato presso il Lewis lab e primo co-autore della ricerca.
La semplicità del processo di assemblaggio apre la strada a progetti più complessi. In futuro, il gruppo di Harvard spera di progettare un octobot che possa strisciare, nuotare e interagire con l’ambiente.
“Questa ricerca è la dimostrazione di un concetto”, ha detto Truby. “Speriamo che il nostro approccio nella creazione di robot soft autonomi ispiri esperti di robotica, scienziati dei materiali e ricercatori a concentrarsi sulla manifattura avanzata”.
Il documento è stato scritto da Daniel Fitzgerald del Wyss Institute e Bobak Mosadegh, della Cornell University. La ricerca è stata finanziata dal National Science Foundation attraverso il Materials Research Science e l’Engineering Center di Harvard e dal Wyss Institute.