Cos’è il making
La cultura del fare, per uno e per tutti
La cultura maker è solo dei tanti aspetti dell’industria della nuova manifattura digitale ma per molti versi è il più affascinante ed è anche quelle che ha le implicazioni filosofiche e sociali più ampie. Sia a lungo termine sia oggi, nel presente.
Il fenomeno risale ad alcuni anni fa e sta letteralmente esplodendo. Lo dimostrano il successo delle Maker Faire, come quella che si è appena tenuta a San Francisco, culla del movimento, o quella che si terrà a ottobre a Roma, dopo il successo dello scorso anno. I maker utilizzano, costruiscono e, più in generale, si riappropriano, dei nuovi strumenti di manifattura digitale.
Questi includono includono macchine per taglio laser e le frese a controllo numerico (CNC) ma soprattutto le stampanti 3D. Le macchine per la manifattura additiva basate su tecnologia FDM sono fondamentali sia perché sono uno degli strumenti che i maker costruiscono più frequentemente sia perché possono essere usare per realizzare una vastissima gamma di componenti utili per costruire altre cose, tra cui anche altre stampanti. Inoltre sono relativamente semplici da costruire con kit preconfezionati o seguendo le istruzioni “open source” della comunità RepRap.
Il concetto di RepRap nasce proprio dall’idea di una stampante 3D in grado di creare interamente un’altra stampante 3D. Questo è possibile perché tutte le istruzioni per realizzare le stampanti 3D RepRap, che appartengono a vari modelli primari e si sono evolute nel tempo, messe gratuitamente a disposizione della comunità online. Per realizzarle sono necessarie delle buone capacità manuali e meccaniche, oltre a una conoscenza di base degli strumenti per l’artigianato e la manifattura digitale, eppure con abbastanza dedicazione tutte queste informazioni possono essere reperite online. Se siete affascinati dall’idea ma non sapete proprio dove iniziare potete rivolgervi a un FabLab.
Il termine, formato dall’unione delle abbreviazioni dei termini inglese Fabrication e Laboratory, è stato coniato da Neil Gershenfeld, docente del celebre Massachussetts Institute of Technology, e indica un laboratorio e uno spazio di co-working in cui maker e più in generale nuovi artigiani digitali condividono e insegnano a usare le nuove tecnologie di fabbricazione personale. All’interno di un FabLab potrete trovare corsi su come programmare Arduino, le schede elettroniche usare per realizzare semplici robottini e oggetti “smart”, oppure apprendere le basi della modellazione 3D e del design parametrico.
Oppure potrete imparare a costruire i droni, aeromodelli radiocomandati generalmente a quattro (quadricopter) o sei (hexacopter) eliche, altro trend in fortissima ascesa. Soprattutto negli ultimi tempi la maggior parte delle persone che si interessa ai FabLab lo fa perché è affascinata dalla stampa 3D. Per questo Sharebot, il principale produttore italiano di stampanti 3D personali, ha creato la Kiwi 3D. La nuova macchina viene venduta attraverso i FabLab che aderiscono all’iniziativa in forma di kit da assemblare. Chi vuole avvicinarsi al making ma non sa bene da dove iniziare, può iscriversi a un corso e imparare a costruirsela, familiarizzandosi sia con il funzionamento della stampante stessa sia con altre tecnologie che possono essere utilizzare durante il processo.
“Seguendo il corso sulla Kiwi chiunque può iniziare a capire la cultura, capire come funzionano le cose, metterci mano, costruirsele da solo”, spiega Matteo Abbiati, uno dei soci fondatori di Sharebot. “la nostra stampantina 3D è la punta dell’iceberg per entrare in un mondo vastissimo di fai-da-te. Per montarla – prosegue Abbiati – devi fare qualche saldatura, tagliare qualche pezzo al laser, preparare il firmware e installarlo sulla scheda elettronica, in pratica prendere dimestichezza con le fasi basilari della programmazione”.
Le strade che si potrebbero aprire sono infinite. MakerBot, per esempio, è stata fondata da un “maker”, Bre Pettis, che una volta scaduto il brevetto per la tecnologia FDM, appartenente al colosso Stratasys, ha deciso di costruirsi una stampante 3D in casa. Sei anni dopo, nel 2013, la sua società è stata acquistata dalla stessa Stratasys per 400 milioni di dollari. L’idea di condividere la conoscenza e di mettere gli strumenti di fabbricazione digitale a disposizione di ognuno è potente e per molti, a partire dallo stesso Neil Gershenfeld, è destinata a cambiare il mondo e il modo in cui produrremo ogni cosa. Il concetto di base è quello della creazione condivisa a livello globale, collegato alla produzione locale.
Ciò significa che attraverso Internet è oggi possibile mescolare le idee per dar vita a nuove idee, mentre attraverso la manifattura digitale queste idee possono essere prodotte ovunque, localmente, abbattendo qualsiasi barriera sociale o geografica. Ciò non significa che nessuno ci possa o ci debba guadagnare. Bre Pettis è multimilionario eppure non ha mai rinunciato a contribuire alla comunità open source e continua a farlo tutt’oggi con Thingiverse e supportando il progetto OpenSCAD di software per la modellazione parametrica open source.
Lo stesso vale per colossi come Autodesk, il cui capo mondiale, Carl Brass, è un appassionato di making e ha quindi continuato a supportare la comunità dei maker con software gratuiti come tutta la suite 123D App. In Italia invece, troppo spesso, si tende a instaurare una sorta di competizione tra FabLab. Il sito 3dhubs.com (che può essere definito il social network mondiale della stampa 3D) riporta infatti che nelle nostre città c’è un elevato numero di stampanti 3D a fronte, però, di un numero molto limitato di persone che le utilizzano.
Nelle città nord europee come Amsterdam o Berlino, dove il fenomeno è radicato da più tempo, ci sono invece molti meno stampanti 3D registrate e molte più persone che utilizzano e condividono la stessa macchina. Il making è di tutti e funziona solo se chi è arrivato prima prima e conosce più cose le mette a disposizione di è arrivato dopo, alimentando la formazione di nuove idee.
Non c’è bisogno di associazioni o fondazioni dedicate ma solo di condivisione della conoscenza, perché, anche se potrebbe sembrare paradossale, nel mondo della produzione personale, l’unione fa ancora di più la forza.