Stampanti 3D al succo d’arancia!

La ricerca sulle applicazioni della stampa 3D non finisce di stupire. Alla Elephant & Castle Mini Maker Faire presso il London College of Communication, Ilya Levantis del London Biohackspace ha presentato la JuicyPrint, una stampante 3D che viene alimentata con succo d’arancia per stampare strutture 3D di cellulosa batterica, un biopolimero molto resistente ed eccezionalmente versatile.
L’idea nasce dal connubio tra stampa 3D SLA e batteri Gluconacetobacter hansenii, meglio conosciuti come Acetobacter. In natura G. hansenii sintetizza cellulosa sulla superficie dei nutrienti liquidi in cui cresce. I biohackers di Londra hanno pensato così di modulare la liberazione di cellulosa su richiesta mediante l’uso della luce. Le due attività, la risposta agli stimoli luminosi e la produzione del biopolimero, vengono di fatti “uniti” geneticamente, con la reazione alla luce che funge da interruttore per inizializzare la sintesi biochimica del materiale finale. Per ottenere un ceppo sensibile alla luce il London Biohackspace ha modificato geneticamente il batterio usando la proteina fotosensibile Cph8 intervenendo poi nel processo di regolazione della trascrizione del gene DGC1, gene che provvede alla produzione della cellulosa. I batteri ingegnerizzati assumono così il ruolo di estrusori biologici, anzi non solo estrudono il materiale da “stampare” ma lo producono loro stessi utilizzando materie prime di scarto. Preparati i bioestrusori, si passa alla stampa vera e propria. La tecnica è ripresa della stampa SLA: si proietta mediante la luce una forma definita facendo crescere un primo strato di cellulosa, quindi si proietta su questo primo strato una seconda forma per far crescere un secondo strato di cellulosa. Ripetendo questo processo si ottiene una struttura tridimensionale di cellulosa dalla geometria desiderata.
La cellulosa batterica è un biopolimero già usato in ambito biomedicale in alcune tipologie di trapianto di pelle, ma sempre in forma di struttura piana. Grazie alle tecniche sviluppate a Londra si punta a ottenere scaffold a tre dimensioni per ospitare ad esempio strutture vascolari, applicabili sia per la cura delle ferite che per la rigenerazione di organi malati.
La cellulosa prodotta dal G. Hansenii presenta fibre molto simili a quelle che si trovano nelle piante, ma diversamente dalla struttura a grani regolari che presentano queste, la cellulosa batterica è fatta di intrecci di fibre distribuite casualmente al suo interno, rendendola meccanicamente molto resistente. E’ inoltre un biomateriale apirogeno e completamente biocompatibile. Sherif MAS Keshk, Associate Professor al King Khaild University dell’Arabia Saudita, pensa sia il materiale ideale per la costruzione dei vasi sanguigni artificiali in quanto comporta un minor rischio di coaguli di sangue rispetto ai materiali sintetici attualmente utilizzati per le operazioni di bypass.
Infine il batterio G. Hansenii è molto diffuso, cresce normalmente in aceto ma come fonte di cibo può usare diversi tipi di liquidi, come succhi di frutta e scarti della produzione di birra. Le sue proprietà rendono possibili anche altre applicazioni: essendo costituita da gruppi di fibre estremamente piccoli, integrata nella carta, rende questa estremamente resistente e durevole; applicato invece come additivo alimentare funziona come addensante e disperdente, con effetto emulsionante molto più elevato. Il progetto verrà portato a termine entro alcuni mesi: non resta che aspettare!
Lusiana Pasquini – Open Biomedical Initiative
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