Stampa 3D alimentare, per la Federazione Italiana Cuochi è “una tendenza da non sottovalutare”

Arriva da Londra l’ultima tendenza in fatto di ristorazione. Nella capitale britannica è stato infatti inaugurato FoodInk, un nuovo ristorante dove il cibo, i bicchieri, i piatti, le posate e i tavoli, sono realizzati con stampanti 3D (tra cui anche quelle dell’italiana WASP). I piatti sono il risultato di ingredienti classici e prodotti della cucina molecolare. Ora anche la Federazione Italiana dei Cuochi si sta interessando alla stampa 3D alimentare.
La tecnologia delle stampanti 3D ha già dimostrato un enorme potenziale in settori che vanno dal campo medico a quello del design, ma la stampa 3D di cibo resta un segmento di difficile applicazione, seppur non siano mancati i tentativi in questi ultimi anni. In generale la stampa 3D di cibo usa tecnologie di estrusione penumatica (simile a quelle utilizzate per la ceramica, per il cemento o per la biostampa). Questi metodi però non offrono grandi potenzialità in termini di precisione, con l’aggiunt che, quando si parla di cibo, le difficoltà aumentano in termini di multimaterialità ma anche di densisità, consistenza, cottura e gusto.
Eppure questa ultima iniziativa ha attirato l’attenzione anche della Federazione dei cuochi in Italia, Paese che più rappresenta l’eccellenza culinaria nel mondo. Lo chef Fabio Tacchella, consigliere della Federazione Italiana Cuochi, oltre che esperto di nuove tecnologie di cottura e lavorazione degli alimenti, ha così commentato.
«La trovo un’iniziativa molto interessante. Avevo già sentito parlare di stampanti 3D per il settore food, ed è incredibile che siano riusciti ad aprire un intero ristorante incentrato su questo nuovo format. Ovviamente è una scelta più che giusta, perché la novità attrae sempre, bisognerà però aspettare per capire quale sarà la risposta del pubblico, anche a lungo termine. Ma come la nouvelle cuisine e dopo di questa la cucina molecolare, anche questa tecnica “alle stampanti”, invece che hai fornelli, può dare spunti positivi e interessanti al settore della ristorazione».
«Le possibilità di sviluppo di questo format sono infinite, l’importante è che non ci siano tentativi di stravolgere tradizioni ben radicate, a partire da quella italiana. Non sarebbe corretto chiamare, ad esempio, Amatriciana un piatto realizzato con prodotti differenti da quelli tradizionali, solo perché sono più adatti alle stampanti. Bisogna sempre stare molto attenti che queste innovazioni non si scontrino con le tradizioni. D’altra parte però noi cuochi potremo attingere da queste tecnologie, servendocene per esaltare i nostri prodotti e migliorare i nostri piatti, sia nell’estetica che nel gusto. Dopotutto è stato così anche per la nouvelle cuisine: prima poco considerata, poi conosciuta e osannata in tutto il mondo; ci ha insegnato tecniche che hanno contribuito a portare la cucina italiana al top. Potrebbe essere lo stesso anche con questo nuovo format».