Faccia a faccia con Enrico Dini, l’italiano che ha inventato il binder jetting per l’edilizia

Nel corso della storia, tanti geni italiani non hanno avuto modo di raccogliere i frutti delle proprie invenzioni. Basti pensare a Galileo, scomunicato dalla Chiesa Cattolica Romana per aver compreso il moto dei pianeti. O, al più recente caso di Meucci che inventò il telefono e Graham Bell ne ottenne il brevetto costruendo su di esso un impero. Sono tanti i grandi visionari che hanno dovuto abbandonare l’Italia, e che continuano a farlo, alla ricerca di qualcuno disposto a finanziare i propri progetti, a cominciare da Colombo che dovette rivolgersi alla regina di Spagna per salpare alla volta del suo viaggio verso le Americhe. La storia di Enrico Dini, l’uomo che ha inventato il concetto di stampare case in 3D in cemento tramite binder jetting,è per molti versi una versione moderna di tutto ciò: un’odissea contemporanea per il futuro dell’edilizia e che condivide alcune similitudini con le vicende di questi grandi del passato.
In primo luogo, anche Enrico Dini ha un corrispondente in America, il professor Berohk Koshnevis, della University of Southern California, ma in questo caso sono amici e condividono tanti risultati e rispetto reciproco, nonché il fatto che le idee di entrambi sono state “prese in prestito” da altri imprenditori di tutto il mondo che hanno dato origine a quello che oggi possiamo considerare un solido trend del 3D printing edilizio, trend che, secondo il report pubblicato due anni fa da SmarTech Analysis potrebbe crescere raggiungendo un valore globale di 40 miliardi di dollari.
E quanto andrà a coloro che hanno inventato il concetto? Probabilmente non così tanto. Ho recentemente incontrato Enrico nel suo stabilimento in Toscana, e gli ho chiesto di ripercorrere tutte le pietre miliari importanti che l’hanno portato dove è oggi: è il fondatore di D-Shape e Dini Engineering e l’uomo che ha inventato la stampa 3D edilizia con binder jetting.
La grande invenzione di Enrico Dini non è solo l’idea di utilizzare la stampa 3D con materiali da costruzione. La sua tecnologia non si basa solo sul tracciamento 2D – o sul tracciamento 2D multiassiale – come la maggior parte delle tecnologie di costruzione digitale attualmente disponibili in commercio. Fin dall’inizio, Dini ha implementato un tipo di processo binder jetting per formati molto grandi, che, nella sua mente, poteva davvero offrire la promessa di una libertà geometrica virtualmente illimitata nel campo delle costruzioni. Oggi Dini è una celebrità nel mondo della stampa 3D ma anche una persona molto semplice, molto amichevole e molto disponibile – forse anche troppo volenterosa – ad aprire il suo cuore e la sua mente.
“Mi preoccupa il fatto che ogni volta che condivido i miei traguardi, qualcuno possa cercare di approfittarne,” ammette quando iniziamo a parlare del suo percorso. “Ho investito una così grande quantità del mio tempo e dei miei soldi in questo progetto e, anche se abbiamo indubbiamente raggiunto alcuni traguardi significativi e implementato la nostra tecnologia in svariati progetti d’interesse in tutto il mondo, non posso dire che sia stato facile né tanto meno di aver trovato sempre correttezza da parte di coloro con cui abbiamo condiviso questo percorso.”

Da dove inizia il 3D printing per l’edilizia?
“Facciamo un passo indietro e torniamo nel 2004. Allora c’erano i Nokia e niente iPhone. Il mondo edilizio era più lontano che mai dalle tecnologie robotiche. Io, nelle vesti di un ingegnere che proveniva dalla robotica e dall’automazione nel settore calzaturiero in Italia, mi sono presto reso conto che, all’interno del regime unificato dell’Euro, non avrei potuto competere con le più forti aziende tedesche e francesi. Programmavo i robot Kuka e avevo deciso che mi sarei dovito diversificare. Abbiamo lavorato su diverse invenzioni, una sulla produzione di idrogeno per la mobilità. All’epoca, stavamo anche utilizzando un sistema Zcorp (ora 3D Systems) per la modellazione delle scarpe. Presi un sistema Zcorp alla Piaggio, per offrirlo come dispositivo di prototipazione rapida e, anche se la sua presentazione fu un disastro, è stato lì che abbiamo avuto l’idea di implementare questa tecnologia per la stampa 3D di una casa a grandezza naturale.”
Dini ha sperimentato con sabbia e acqua (creando, per caso, il primo castello di sabbia stampato in 3D) e pochi anni dopo ha incontrato il costruttore Roberto Nannini. Con lui e Moreno Chiarugi, ha depositato nel 2005 il primissimo brevetto di stampa 3D per la costruzione (Metodo e dispositivo per costruire strutture conglomerate in maniera automatica). A quel punto, la sfida era trovare un finanziamento adeguato. Il brevetto era basato su sabbia e resine epossidiche, invece che sul cemento. Questo approccio fu scelto per evitare qualsiasi rischio di violazione di altri brevetti relativi ai processi di automazione basati sul cemento, come quello ottenuto da Joseph Pegna, che nel 1997, fu il primo in assoluto a pubblicare qualcosa sui processi di costruzione automatizzata con cemento, immaginando un processo intermedio per incollare strati di sabbia insieme a una pasta di cemento Portland. A differenza dell’approccio convenzionale di colare il calcestruzzo in una cassaforma, 3DCP ha combinato la tecnologia digitale e nuove concetti di tecnologia dei materiali per consentire la costruzione libera senza l’uso di costose casseforme.

“All’epoca ero totalmente all’oscuro del fatto anche negli Stati Uniti ci fosse un professore, un certo Behrock Koshnevis, che stava lavorando a questo concetto,” mi racconta Enrico. Lui e i suoi soci in affari erano alla ricerca di fondi ed ebbero modo di incontrare magnati industriali italiani come il presidente di Smeg, che organizzò un incontro con Carlo Pesenti, presidente di Italcementi, uno dei più grandi gruppi di costruzione del mondo. Purtroppo però, quell’evento non portò da nessuna parte. Dini fu accolto da un ingegnere ottantenne che non comprese il potenziale dell’idea. Il progetto fu quindi sospeso ed Enrico si separò dai suoi due partner che, nel frattempo, avevano iniziato a lavorare sul proprio concetto di stampa 3D di costruzione utilizzando un sistema gantry su una macchina CNC.
Andata e ritorno verso il globale
Enrico si è poi trasferito nel Regno Unito dove ha fondato la Monolite UK Ltd., la prima società completamente dedicata alla costruzione di edifici tramite tecnologie di manifattura additiva. Fu durante la sua permanenza nel Regno Unito che Enrico apprese dell’esistenza di Koshnevis, all’epoca in contatto con Rupert Soar, il quale, a sua volta, è stato uno dei primi a stampare in 3D una grande scultura di cemento. Galvanizzato dalla presenza di altri imprenditori e fiducioso delle capacità superiori del suo approccio basato sul binder jetting , Dini prese una grande decisione: per stanziare fondi e poter stampare case in 3D, vendette la sua di casa.


Quei fondi, Dini li utilizzò per costruire la prima factory, in Italia e la sua prima stampante 3D per grandi formati. È stato qui che ha stampato l’ormai celebre scultura “Radiolaria”, progettata da Andrea Morgante. Per evitare qualsiasi possibile conflitto di brevetti con Pegna, Kosnevis e voxeljet, Dini ha usato l’ossido di magnesio per la polvere e il cloruro di magnesio come legante. “Quando ho saputo che Winsun in Cina aveva completamente ignorato qualsiasi brevetto di Kosnasi o di chiunque altro, ho capito che forse ero stato un po’ troppo cauto” ammette.
Quando Dini mostrò questa scultura a un consulente finanziario, ottenne un incontro con un altro grande gruppo che accettò di finanziare il progetto con 50 milioni di euro, di cui 17 per la società di Dini, il quale anticipò i fondi prendendo un prestito in attesa che arrivassero. Tuttavia, quei fondi non sono mai arrivati. La banca e gli investitori si chiamarono fuori dal progetto incolpando la crisi economica del 2008. Dini tornò in Italia e fondò una nuova società, la Dinitech, alla quale vendette la sua macchina per $ 400.000 e una partecipazione del 40%. La società superò il milione di euro in poco più di un anno e sebbene vi fosse interesse da parte di altri gruppi industriali, il nuovo manager dell’azienda si rifiutò di produrre e vendere prodotti in cemento realizzati usando la tecnologia di Dini. Sfortunatamente, anche la maggior parte di questi progetti è fallita. Tutti tranne uno: la prima casa stampata in 3D, costruita per il Museo della Triennale di Milano. Il progetto di dimostrazione tecnologica, intitolato “Una casa tutta d’un pezzo”, dovrebbe essere considerato la prima casa completa stampata in 3D.
“La casa non ottenne alcuna visibilità,” ricorda Enrico. “Tuttavia, fu una sezione del muro a ottenerne e ad arrivare fino in Cina dove il fondatore di Winsun, un ragazzo che aveva fatto uno stage con Koshnevis in California ha realizzato, 4 anni dopo, l’ufficio stampato in 3D per il Primo Ministro di Dubai. Da allora sono emerse dozzine di società, ma solo alcune di esse si sono rivelate proficue per Dini e la sua azienda. “Tutte le aziende che da allora sono spuntate in tutto il mondo sono, in un modo o nell’altro, collegate a me,” dice Dini. “Nei Paesi Bassi, dove ho tenuto una delle mie prime conferenze, è stato portato avanti un progetto di grande formato basato su materiali termoplastici. Ora anche la COBOD, fondata dal mio amico Erik Lund Nielsen, sta facendo un lavoro importante, così come la CyBe nel Regno Unito e la XtreeE in Francia. In un certo senso, tutte loro sono state ispirate dal nostro lavoro. Abbiamo anche collaborato con la IaaC in Catalogna, con Sofoklis Giannkopoulos e abbiamo anche formalizzato i nostri rapporti a un certo livello. In quell’occasione, abbiamo lavorato con Acciona a Madrid e abbiamo creato una stampante 3D per realizzare il primo ponte in cemento stampato in 3D. Era un omaggio a mio padre, lui era un costruttore di ponti.

Il lavoro di Dini, tuttavia, non riguarda solo la costruzione di ponti sospesi: molti progetti di costruzione stampati in 3D nel settore della difesa, delle arti e in altri segmenti di costruzione (creazione di barriere coralline ma anche panchine pubbliche) hanno avuto successo sia per il loro approccio innovativo, sia dal punto di vista economico. Dini ha anche venduto alcune macchine in tutto il mondo, quindi il futuro sembra essere luminoso.
Il binder jetting, una tecnologia che sembrava nata vecchia, somiglia ormai sempre più a una tecnologia chiave per il futuro della stampa 3D, date le possibilità geometriche quasi infinite che offre, più importanti dei suoi limiti e della sua complessità. Ancora oggi, la tecnologia di Dini è l’unica tecnologia di costruzione, insieme a quella di voxeljet in una certa misura, ad essere basata su un approccio binder jetting. Non è ancora chiaro chi sarà a raccogliere i frutti di questo potenziale. Magari il lavoro di Dini negli anni non avrà ricevuto il riconoscimento economico che merita ma una cosa è certa: ci saranno altre case stampate in 3D.